La Guardia di Finanza ha concluso i primi accertamenti. Ha consegnato in Procura le sue prime risultanze e una lista con una trentina di nomi di possibili indagati. Si tratta di dirigenti, funzionari, manager e tecnici che si sono occupati a vario titolo del ponte Morandi negli ultimi sei anni. Da quando, cioè, la vigilanza sulle concessionarie autostradali è stata trasferita dall’Anas al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dove nel 2012 è nata una specifica Direzione generale. È evidente che sarà la procura a decidere se e chi indagare. Ed è altrettanto evidente che nessuno è ancora indagato e molti potrebbero non esserlo mai anche se compaiono nella lista della Gdf. Certo è che da questa lista la Procura di Genova conta di individuare gli indagati. Le ipotesi di reato sul fascicolo d’inchiesta vanno dall’omicidio plurimo colposo, al disastro colposo e attentato colposo alla sicurezza dei trasporti.
Ponte Morandi. C’è già un progetto che mette assieme il lavoro della Concessionaria e quello dell’archistar Renzo Piano
Sono due i “soggetti” coinvolti: quello pubblico, il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit), proprietario del Ponte Morandi; e quello privato, Autostrade per l’ Italia del gruppo Atlantia controllato dalla famiglia Benetton, concessionario e gestore. Gli inquirenti si sono concentrati soprattutto sull’intervento di rinforzo strutturale del viadotto Polcevera, tecnicamente retrofitting, che avrebbe dovuto potenziare i tiranti di sostegno del ponte, vecchi di mezzo secolo. Un progetto che nasce nel 2014 e che ha visto un’improvvisa accelerazione nell’ autunno del 2017, arricchito da un paio di studi esterni, senza però mai essere realizzato, visto che il ponte è crollato prima e forse proprio per il cedimento di un tirante.
Nella lista della Finanza ci sono nomi del presente e del passato. Fra i più importanti della galassia Autostrade quelli dell’ad Giovanni Castellucci, del presidente Fabio Cerchiai, del direttore centrale operativo Paolo Berti, del responsabile delle opere di manutenzione Michele Donferri Mitelli e dell’ingegner Paolo Strazzullo, responsabile del Procedimento di retrofitting.
A livello locale, il responsabile del Tronco autostradale di Genova Stefano Marigliani e il suo predecessore Riccardo Rigacci. E poi ci sono quelli di Spea, la controllata del gruppo Atlantia che ha fatto il progetto. Qui spicca l’ex ministro dei Lavori pubblici Paolo Costa, presidente della società.
Con lui l’ad Antonino Galatà, il direttore tecnico Massimiliano Giacobbi e il suo collega Emanuele De Angelis che firmarono il progetto, mentre l’ ingegner Massimo Bazzarelli sottoscrisse il Piano di sicurezza.
A livello ministeriale, Vincenzo Cinelli, il direttore generale della vigilanza del Mit che l’11 giugno scorso ha dato l’ ok al progetto. Con lui il suo predecessore Mauro Coletta e i responsabili di divisione Bruno Santoro e Giovanni Proietti.
Per Genova il personaggio più in vista è il Provveditore interregionale per le opere pubbliche Roberto Ferrazza.
Segnalati anche i suoi sottoposti Alessandro Pentimalli e Salvatore Buonaccorso, entrambi presenti alla riunione dello stesso Comitato tecnico.
Infine Carmine Testa, responsabile dell’articolazione locale della Direzione di vigilanza.
Fra un nome e l’altro c’ è spazio anche per un giallo. È legato alla notte tra il 14 e il 15 agosto. Poche ore dopo il crollo del Ponte Morandi, mentre ancora i soccorritori scavavano a mani nude, i vertici di Autostrade hanno contattato i responsabili del centro di ricerca Cesi di Milano per chiedere la relazione realizzata tra ottobre e novembre 2015 sul ponte Morandi. Gli inquirenti stanno cercando di capire per quale ragione, a meno di 24 ore dal crollo, l’attenzione del gestore autostradale si era concentrata sullo studio eseguito due anni prima e che già aveva rilevato la necessità di “ulteriori analisi e approfondimenti”.
Sessantacinque chili di esplosivo, in un garage di una villetta a Casal di Principe, a via Pisa, in provincia di Caserta. E’ già partito l’approvvigionamento per la vendita al dettaglio di botti e petardi in vista del Capodanno e i carabinieri hanno trovato gli ordigni a casa di un insospettabile in una zona residenziale, a 400 metri dal parco Arcobaleno, a due passi dal museo “Casa Don Diana”. I carabinieri di Qualiano avevano raccolto diversi indizi con la voce in città che già circolava e così hanno deciso di far visita a un 18enne incensurato casertano.
Nel box il rinvenimento che ha sorpreso gli stessi militari. Tutti ordigni non convenzionali – dalle “tradizionali” cipolle fino ai piccoli candelotti – per un totale di 1.213 pezzi. Necessario l’intervento del Nucleo artificieri dei Carabinieri di Napoli che hanno messo in sicurezza l’area prima di poter sequestrare l’esplosivo. Ore di lavoro per poter agire in sicurezza tra le abitazioni di ignari cittadini che hanno rischiato inconsapevolmente la vita. Un peso complessivo di materiale esplodente che, secondo gli esperti, avrebbe potuto causare una strage. Il 18enne è stato arrestato e dovrà rispondere di detenzione illegale di materiale esplodente.
Pagava i propri dipendenti 4 euro all’ora a fronte di una prestazione di oltre 50 ore alla settimana, sottraeva una parte della paga, limitava il godimento delle ferie ed in caso di infortunio sul lavoro lo faceva passare come infortunio domestico. Per tale ragione un imprenditore titolare di cinque supermercati a Montepaone, Soverato e Chiaravalle Centrale, insieme ad altre due persone, è stato arrestato dai finanzieri del Comando provinciale di Catanzaro che hanno anche sequestrato 6 attività commerciali con un patrimonio aziendale per un valore di oltre 27 milioni di euro.
I finanzieri, in esecuzione di un’ordinanza del gip su richiesta della Procura di Catanzaro, hanno anche arrestato e posto ai domiciliari un consulente del lavoro e una responsabile amministrativa dell’azienda mentre per due responsabili dei punti vendita è stata disposta la misura dell’obbligo di dimora nel comune di residenza. I cinque sono indagati per associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento del lavoro, alle estorsioni e ai reati di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico. Le società di capitali che gestivano le attività commerciali sono state affidate ad amministratori giudiziari nominati con lo stesso provvedimento.
I provvedimenti cautelari scaturiscono dall’attività svolta dal Gruppo investigazione criminalità organizzata del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Catanzaro che si è articolata in attività di intercettazione e di perquisizioni. Dalle indagini sarebbe emerso che i cinque indagati, sotto le direttive del titolare delle imprese ed approfittando della condizione di necessità e vulnerabilità derivante da precarietà economica, avevano imposto condizioni di lavoro degradanti e pericolose sul luogo di lavoro ad oltre 60 dipendenti, violando sistematicamente la normativa sull’orario di lavoro e corrispondendo una retribuzione palesemente inadeguata o comunque insufficiente rispetto alla quantità e qualità del lavoro svolto (4,00 euro all’ora, a fronte di una prestazione di attività lavorativa di oltre 50 ore a settimana) o sottraendo parte della retribuzione (con restituzione in contanti). Inoltre ai dipendenti sarebbe stato limitato il godimento dei giorni di riposo settimanale e delle ferie annuali, garantiti dalla legge, con sole due settimane di ferie all’anno e sarebbero stati costretti ad operare in ambienti che non rispettavano le norme di sicurezza.
I cinque, secondo l’accusa, inoltre, non avrebbero dichiarando gli infortuni sul lavoro come tali, ma indicandoli come incidente domestico, impedendo così di ottenere le necessarie tutele previdenziali e risarcitorie previste dalla legge. Il consulente del lavoro e la responsabile amministrativa, che coadiuvavano attivamente l’imprenditore, secondo gli investigatori avevano il compito, rispettivamente, di redigere contratti di lavoro apparentemente part-time e false buste paga non riportanti le reali ore lavorate e di occuparsi della gestione contabile delle attività, collaborando nella redazione dei contratti di lavoro; i responsabili dei punti vendita erano delegati al controllo dei dipendenti, cui chiedevano l’effettuazione di turni massacranti negando la possibilità di usufruire di parte delle ferie cui avevano diritto. Inoltre, in occasione della verificazione di infortuni sul lavoro, accompagnavano i lavoratori in ospedale per costringerli a rendere dichiarazioni false in merito alla dinamica dell’incidente.
La giovane promessa dello sci italiano, Matilde Lorenzi, è morta in seguito a una caduta avvenuta durante un allenamento sul ghiacciaio della Val Senales. La notizia, confermata dal Ministero della Difesa, ha gettato nel lutto la comunità sportiva italiana e tutti coloro che avevano avuto modo di conoscere il talento e la passione di Matilde per lo sci.
Un grave incidente durante l’allenamento
L’incidente è avvenuto durante un allenamento sulle piste del ghiacciaio altoatesino. Lorenzi, considerata una delle atlete più promettenti del panorama sciistico azzurro, è rimasta vittima di una caduta che si è rivelata purtroppo fatale.
Il messaggio di cordoglio del Ministero della Difesa
A ufficializzare la notizia della sua scomparsa è stato un post del Ministero della Difesa, che ha voluto esprimere vicinanza alla famiglia e agli amici della giovane atleta, ricordando l’impegno e il talento di Matilde nello sport.
Un vuoto nello sport azzurro
La morte di Matilde Lorenzi lascia un profondo vuoto nella squadra italiana di sci e nello sport azzurro in generale. La giovane era apprezzata per la sua dedizione, la determinazione e il talento che aveva dimostrato, suscitando speranze per una brillante carriera sportiva.